Non è stato un problema raggiungere
Bologna, anche se è tempo di vacanze. Siamo in due, su uno stagionato
pulmino Transit che fortunatamente non fa capricci. Molto più complicato
entrare in Piazza Maggiore. Tutte le vie intorno sono intasate e sarà
difficile domani azzardare con una certa precisione il numero delle persone
presenti ai funerali. Per la prima volta faccio parte del popolo del Partito
Comunista, in quella che allora era la più salda delle sue roccaforti.
Non mi sono mai sentito politicamente a casa, neanche nelle ultime file
non inquadrate dei cortei milanesi, trascinati per anni stancamente sabato
dopo sabato. La sinistra extraparlamentare italiana, la più numerosa
d’Europa, dunque la più stupida. L’ho letto davvero?
È davvero così ingeneroso? Dovrei forse collocarmi tra le
molto esigue file degli anarchici cristiani. Una sintesi così ardua
da far perdere la testa anche a Jaques Ellul, una delle migliori teste
pensanti del secolo scorso. Anarchia e cristianesimo? In fondo che “la
vita non è già destinata ad essere un peso per molti, e
una festa per alcuni” lo pensava un grande arcivescovo, ma sono
parole che non stonerebbero in bocca a un comunardo sulle barricate. Prima
di ripartire, non passeremo dalla stazione ferita, non ci avvicineremo
a quella che diventò poi “la rete del pianto”. Ci fermiamo
in un giardino. A Bologna quel giorno era caldo, ma che caldo, che caldo
faceva. Un camioncino porta bottigliette d’acqua, dà da bere
agli assetati. Ne passa un altro. È evidente: niente di improvvisato
nella distribuzione. Questa Croce Rossa Rossa, mi ricorda la Mezzaluna
Rossa, ai confini tra Iran e Pakistan. L’acqua fresca sgorgava da
un tubo del serbatoio sistemato sul pick-up e dissetava i rari viaggiatori
e il nastro d’asfalto rovente, srotolato con cura lungo il deserto
roccioso. |