Gennaio 2021
   IN EXTREMIS    
 
Settembre 2021
Non sarò il primo ad aver reagito con rabbia a una diagnosi che richiederebbe un trapianto, se fossi più giovane o in alternativa l’impianto di un Vad, una specie di cuore artificiale da aggiungere al defibrillatore. Suggerisco che si potrebbero collocare tra le batterie che tengono in vita il Vad che tiene in vita il paziente, cariche di esplosivo da utilizzare dopo aver individuato un obiettivo significativo. Mi trasformo in un paziente per così dire radicalizzato, senza passare per una conversione all’Islam. Primario e medici al seguito fingono di non aver sentito. Sono passati otto mesi difficili. Mia moglie sapeva tutto dal primo giorno, io sospettavo vedendo solo piccoli progressi. Jean Luc Nancy, filosofo francese del quale ignoravo l’esistenza, scomparso nel 2021, aveva subito nel 1992 un trapianto di cuore. L’unico a sconsigliarlo al grande passo era stato il nostro Agamben, che avrebbe goduto di improvvisa popolarità per le dure posizioni prese all’esordio della pandemia. Tra le tante opere di Nancy, sfoglio le pagine de L’intruso.“La questione non è che mi abbiano aperto, spalancato, per sostituirmi il cuore, ma che questa apertura non può essere richiusa. (Del resto ogni radiografia lo mostra, lo sterno è ricucito con pezzi di filo di ferro ritorti). Io sono aperto chiuso. C’è in me un’apertura attraverso la quale passa un flusso incessante di estraneità: i farmaci immunodepressori e gli altri che servono a combattere alcuni effetti detti secondari, le conseguenze inevitabili (come il deterioramento dei reni), i ripetuti controlli, tutta l’esistenza posta su un nuovo piano, trascinata da un luogo all’altro. La vita scannerizzata e riportata su molteplici registri ciascuno dei quali iscrive altre possibilità di morte. Sono dunque io stesso che divengo il mio intruso, in tutti questi modi che si accumulano e si oppongono”. Trasformo e aggiorno a mio uso e consumo l’introduzione al volumetto, meno di cinquanta pagine. Che ne è dell’io, che ne è di un io, se nel mio petto batte un cuore non cuore? Che cos’è il mio corpo, se la continuità della sua esistenza, se la sua sopravvivenza, è affidata a un intruso? Che cosa è un corpo quando entra nel regno della biopolitica? Un uomo che va a pile. Lo immagino su un poster sei metri per tre, incollato in città negli appositi spazi. Che senso ha snocciolare questa sintesi ad effetto nei miei ormai stucchevoli show dal letto che occupo così frequentemente in una delle camere di questo ospedale? Quando dovrei invece ringraziare mille volte l’equipe che mi accompagna in un piccolo calvario, una storia di ospedalizzazioni e riospedalizzazioni della quale la fine è ben nota. In certi giorni, certe notti, vien voglia di accelerare i tempi, sfogliare l’ultima pagina. Preghiera. “Signore liberaci dal troppo zelo per le novità; dall’anteporre la cultura alla saggezza; la scienza all’arte; l’intelligenza al buon senso; dal curare i malati come se fossero malattie; dal rendere la guarigione più penosa del persistere del morbo ». Sir Jonathan Hutchinson, Londra 1904
   

 

   
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