Sei commossa, lo vedo. Sei commossa perché
sarà nostro, sarà di Greta, l’appartamento di Roiano
affacciato sulla piazzetta, sul sagrato della chiesa dei Santi Ermacora
e Fortunato. Ti sei commossa perché qui vicino, di stagione in
stagione, inerpicandosi sotto il sole cocente o su traditrici lastre di
ghiaccio, si prendeva la via dei Moreri e lassù in cima stavano
i tuoi nonni materni. A Piscanci o Pišcanci, non fa una gran differenza.
Quelli paterni invece erano in una villetta in centro città, una
molto facoltosa famiglia di origini austriache, la ricchezza evaporata
in un lampo negli anni del secondo conflitto mondiale. Ma la tomba centenaria,
non è certo evaporata. Sono così irritanti i nuovi ricchi,
così adorabili i nuovi poveri. Hanno avuto in dono quella cosa
che non si impara e non si compra. La fortuna di essere a proprio agio,
naturali, ovunque si trovino. E io, il ragazzo più timido del quartiere,
proprio di questo avevo bisogno. Sono di nuovo in ospedale con tre flebo
che ho trascinato fino alla saletta parenti, davanti a me le vetrate che
danno sui boschi dai quali entrano, ormai con il contagocce, i migranti.
Non ho più altro io, all’infuori di te. Quel che resta del
mio cuore è tuo: totalmente, teneramente, tragicamente. Sono così
sentimentale oggi che ti regalo qualche strofa della canzone più
sentimentale che conosco. Ascolta.
“Intralciate la marcia degli eserciti, dei plotoni / Io non sono
felice / Smantellate nei cantieri le navi da guerra / Io non sono ancora
felice / Paralizzate nei cieli tutti gli aerei! / È urgente, io
non sono felice / Ho diciassette anni / sono castano chiara, attraente
/ E sentimentale sentimentale, sentimentale”.
Torno sui miei passi. Scendo di nuovo alla fermata Roiano. Incollo questo
testo senza avventurarmi in una traduzione che tradirebbe il sapore di
un mondo perduto. Lo faccio senza il permesso dello sconosciuto autore.Testarde
e vive a Trieste sono le tradizioni, la pena della vita quotidiana alleviata
dai popolari, elementari piaceri della tavola condivisa: asparagi selvatici
con le uova, salsicce, radicchio, tovaglie stese sul prato, osmize, vino...“Trieste,
questa città sconosciuta. Cusì sepodaria ciamar le tue foto
de Roian. Pasà davanti, tantisime volte. Ma drento, soto el ponte,
poche volte. De putel, forsi quando ‘ndaimo a Opcina su par Scala
Santa a ingrumar sparisi. Mio papà ‘ndava mato par sparisi
coi ovi. Ma iera una o do volte in primavera. Me ricordo de una osmiza,
dove che mama ga distirà un ninziol sul pra e i ne ga portà
ovi duri, radicio e naturalmente vin. Gavevo quatordise ani. Un’altra
volta, forsi la stesa osmiza, con mio fradel gavemo magnà luganighe.
Iera otobre 1947. Guera finida. Altrimenti Roian iera estero. Vedendo
le foto me par de eser turista”. |