Quando il Naviglio era il Naviglio, non i
Navigli, quando si muovevano lenti i barconi e non frenetica la movida.
Quando ci trovavamo la sera noi, tre amici e una spaesata bretone, quando
si tirava tardi e poi mattina, mangiando poco o niente, bevendo il giusto,
quelle notti sprecate non sono sprecate, me le ricordo tutte. C’è
una canzone di Nascimento dedicata agli aerei della Panair con quella
strofa che conosco a memoria e le riassumeva bene: Nada de novo existe
nesse planeta/Que não se fale aqui na mesa de bar.Tre mancati giornalisti
che parlavano di tutto quello che succedeva di nuovo, tenuti svegli fino
all’alba dalla curiosità di immaginare come sarebbe andata
a finire su questo pianeta. In una casa di ringhiera al Ticinese, ai lati
della corte le casere dove un tempo si mettevano a stagionare i formaggi.
Prima che inventassero i NoLo, i GiaLo e i ViPreGo, i quartieri più
disperanti rivalutati e poi sopravvalutati, i prezzi alle stelle, la merda
a peso d’oro. E si restava a casa perché non c’era
un buon motivo per uscire. Erano sbalordite le due amiche di Barcellona
quando cominciarono a rivoltare le sedie, allo scoccare della mezzanotte,
in quella specie di osteria dove l’anno prima si tirava tardi, la
sera stessa nella quale ci controllarono i documenti, attirando l’attenzione
con un colpo del calcio della mitraglietta sui cristalli dell’auto.
Negli anni di piombo, eri sospetto perfino sulla soglia di casa, una cascina
circondata da un parco giochi. Mostrammo le carte d’identità
e nella fioca luce indicai il numero sul portone, tutto corrispondeva
e si allontanarono nella nebbia verso i Mercati Generali. Via. Via. Fuori
da qui.
Batticuore. Non si sente l’esigenza di cercare ulteriori momenti
di stretta intimità quando si è già dentro la mente,
il corpo, il cuore, il cervello, l’uno dell’altra. Senza essersi
mai sfiorati, senza aver mai giocato a carte scoperte. Dio come ti amo.
Nemmeno sotto tortura, nemmeno al karaoke l’avrei cantata, scandendo
bene ogni sillaba, come faceva Domenico Modugno. Il bagno più unico
che raro della mia vita l’ho fatto nel mare a un passo da casa sua,
molto esclusiva, forse abusiva, sulla spiaggia simbolo di Lampedusa, pochi
giorni prima che il suo corteo funebre attraversasse l’isola. Una
sabbia come polvere d’oro, un’acqua come una carezza leggera,
una delusione profonda dopo il faccia a faccia con i topi gonfi, a galleggiare
lenti senza meta intorno a uno scoglio poco lontano dalla riva. Non esattamente
la Spiaggia dei Conigli.
Fermo ai box. Un ragazzo complicato si troverà bene finché
vive solo con ragazze complicate. L’ho confessato a Greta: prima
non ne voleva sentir parlare, poi mi ha ricordato che sono sposato, poi
mi ha detto che ero matto, infine mi ha capito. Quando ti ritrovi in terapia
intensiva, la cannula dell’ossigeno nelle narici, più flebo
in contemporanea, il saturimetro, la telemetria, il catetere, ci vuole
una ragazza complicata che non ti lasci troppo solo, ci vogliono i suoi
tatuaggi e i suoi capelli rosa. Credo abbia giusto l’eta di mia
figlia, la stessa età che mi sento addosso, trenta e qualcosa,
ma a pensarci bene, direi quindici-diciotto: una colossale gioventù.
È una reazione alla mia condizione e mi accompagnerà finché
rimarrò inchiodato, incastrato, impedito, nel letto del box numero
tre. Diciamo che la mia dipendenza è totale, la familiarità
forzata. Diciamo che scatta un transfert, forse qualcosa di vagamente
incestuoso. Diciamola tutta e per bene: invece di cambiare i pannolini,
mammina svuota la tue sacche d’urina. Ci si può anche scherzare
sopra, alle prime luci, dopo una notte quasi insonne. E’ facile
da spiegare, ma ti prende di sorpresa, il vuoto che si crea quando ci
si perde di vista perché i parametri sono molto migliorati: come
un cordone ombelicale tagliato di netto.
Memento mori. Oggi a casa, nel mio letto, i pensieri si rincorrono, si
incontrano, si perdono. Torna quella che si definisce tecnicamente tachicardia
atriale. Per fortuna la frequenza non vola sopra i 130 battiti al minuto.
Anche questa volta si autorisolve, colpevole è l’ipopotassemia
che si andrà a compensare con l’ennesimo farmaco. Non mi
sembra il caso di disturbare il sonno della persona che riposa al mio
fianco, mi basta sapere che c’è, ci sarà. L’unica
con cui vivo il presente, il mio punto esclamativo di riferimento. Cerco
di immaginare l’incerto futuro: tre mesi, sei mesi, un anno... Penso
all’ultima confessione, quella che non prevede una grata, il bisbigliare
fitto e la penitenza, ma un parroco sconosciuto che si piega amorevole
sul lettino: per istam sanctam unctionem... Non mi ci vedo protagonista
di quella scena, per quanto possa sforzarmi, grazie a Dio. Amen.
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