Grande e confortevole lo scompartimento di
seconda classe con le sue poltroncine reclinabili e gli ampi finestrini.
È uno spettacolo viaggiare da Delhi a Madras, una proiezione al
rallentatore di oltre duemila chilometri della quale si può apprezzare
ogni scena. E tra tutte, quella dei grappoli di bambini che uno dopo l’altro
si lasciano cadere dai rami degli alberi in riva al fiume e piombano urlando
nelle dense acque rossastre.Tra una scena e l’altra, la corsa sembra
arrestarsi per permettere ai venditori ambulanti di saltare sul predellino
e offrire in perfetto equilibrio una nuvola di pane e tutte le varianti
di ripieno: “Puri, puri!”. I vagoni di prima classe hanno
pesanti tende di velluto verde e solo di rado queste vengono scostate
e allora fa capolino il volto di una donna che scruta guardinga il brulicare
della stazione, affollata di viaggiatori di seconda e terza classe. È
altrettanto piacevole attraversare lo Sri Lanka su un treno a vapore,
lungo binari che si fanno strada tra le piantagioni di ananas, tornando
dalla processione del Sacro Dente del Buddha a Kandy. È anche memorabile
risvegliarsi dopo un breve sonno e scoprire il sedile, i capelli, la camicia
punteggiati dalla polvere di carbone e ricordare la massa dei fedeli,
dei curiosi, dei turisti che ti inghiotte e ti impedisce di scegliere
una direzione e non puoi che prendere aria di tanto in tanto, alzandoti
in punta di piedi, e lasciarti trasportare fin dentro un mercato coperto
completamente ripulito in ogni scaffale, tranne una bottiglietta di un
liquido denso e colorato che sembra ottenuto sciogliendo caramelle di
frutta allo zucchero in acqua zuccherata. Non era male passare un’intera
notte sul treno diretto alla Gare de Lyon, cercando punti di riferimento
nel buio per una decina di ore e il pomeriggio infilarsi in una delle
tante sale d’essai per vedere, per esempio, The Last Waltz di Scorsese,
con le lacrime agli occhi non perché vi si celebra la fine di un’epoca,
ma per il tour de force al quale li avevo costretti. È stata una
stupidaggine imperdonabile prendere quel locale da Marsiglia, pensando
a quel quadro di Braque, Case all’Estaque del 1908 e trovarsi a
costeggiare depositi di carburante Total. È indimenticabile certamente
anche quella tirata con gli amici da Barcellona a Algeciras per poi imbarcarsi
sul traghetto per Ceuta avendo già in mente il Marrakesh Express.
Nel nostro scompartimento due ragazzi americani dalle lunghe chiome, a
rischio di finire sotto le forbici della polizia di frontiera, si chiedono
stupiti cosa mai andranno a fare tre italiani in Marocco. E loro invece,
senza esitazione:“To discover a new culture!”. È un’esperienza
da evitare lasciarsi trasportare in auto come un container posato sul
pianale, dentro quel maledetto tunnel dei monti Tauri per scoprire che
solo dopo otto chilometri e trecentosettanta metri usciremo a riveder
le stelle. E allora, quanta nostalgia di quei trenini a cremagliera che
alla luce del sole si arrampicano come gatti lungo le pendici delle vette
svizzere. È con i ferrovieri della stazione di Kavala che ho bevuto
il primo caffe greco e fumato Papastratos, ancora nella loro elegante
scatola bianca, rigida e piatta.
È risalendo la ex Jugoslavia da Gevgelija che ho visto gli operai,
i muratori, i meccanici, i camerieri della Macedonia, del Montenegro,
della Bosnia, rientrare al lavoro in Germania addentando seduti nel corridoio
grandi forme di pane e peperoncini verdi piccanti e molto più su,
in Slovenia, un distinto signore aprire la sua cartella con il marchio
Ibm. È in una stazione della metropolitana a Milano che ho pensato
alla scena madre di Jules e Jim e immaginato di scendere le scale mobili
e sulla banchina, tenendoci per mano, andare oltre la linea gialla, mentre
già si poteva sentire lo stridere disperato dei freni del convoglio.
Ed ero così giovane e stupido da non sapermi spiegare se fosse
un brutto sogno premonitore o il desiderio di restare insieme per sempre. |