Nel bel mezzo della vestizione del parroco
per la prima messa del mattino, presto, molto presto, il diacono commenta
la sua fresca lettura de Il vecchio e il mare. Anche io l’ho letto
di recente, uno tra i primi libri che ho avuto tra le mani. Una scrittura
asciutta, un romanzo breve che avrà schiere di lettori. Il diacono
lo stronca senza pietà. Perché un bel mattino, presto, molto
presto, il vecchio protagonista esce e si libera contro le lamiere di
una baracca del villaggio di pescatori a Cuba. Sono un povero chierichetto
timido, praticamente un bambino, non ho il coraggio di dire nulla, ma
sento come una grande ingiustizia la bocciatura integrale e senza appello
solo per la supposta impudenza di una frase, un rigo appena. A giugno
è scomparso il Papa buono, le sue carezze ai bambini, il suo Concilio.
Negli occhi avremo per sempre il ralenti, mille volte reiterato dal tubo
catodico, della macchina presidenziale messa nel mirino e colpita a Dallas
in novembre. La parentesi di un mondo liberal-kennediano-giovanneo si
chiude in pochi mesi. Non leggerò mai più Hemingway. So
che Fernanda Pivano lo incontrò una delle prime volte a Cuba e
lui lasciò le riprese proprio de Il vecchio e il mare per vederla.
So che lei si rimproverò di non aver lasciato che l’amicizia
si trasformasse in amore. Più che alle instancabili turbolenze
di Hemingway, mi sento vicino alla leggerezza profonda di Ettore Sottsass,
a lungo compagno di vita della Pivano. Architetto e designer, lascia anche
nella scrittura un segno distintivo. Come in un testo del 1966, scoperto
in un Almanacco Bompiani comprato a Milano in Galleria a metà prezzo,
incuriosito dal titolo spiazzante: ‘Come proteggere la bellezza
dalla polvere e dai piranha’. Si apre con l’orrore della fotografia
di un prigioniero vietnamita, condotto con una corda alla fucilazione,
accompagnato dal figlio bambino, mano nella mano. Si chiude con un programma
ambizioso per una vita quotidiana più ricca. “Cercheremo
di fare case con dentro oggetti, utensili e prodotti che sono quello che
sono strumenti per vivere, sacri e familiari, usati (non violentati),
rispettati (non idolatrati), amati (non posseduti), belli (non divinizzati).
Faremo così e verrà fuori un posto dove vivere, abbastanza
divertente, sganciato e distaccato, dove ci sarà meno spazio per
le nevrosi e più spazio per stare sdraiati a leggere Ian Fleming
facendo grandi gesti che non descrivo, per stare sdraiati a fumare, per
ascoltare canzoni, mandole, liuti e chitarre, per mettere fiori nei vasi,
per partire e andare a Kabul a trovare gli amici, a Pechino a trovare
le guardie rosse, a San Francisco a passare la notte sulle spiagge e andarsene
quando viene la nebbia dal mare, per stare sotto i pini dei colli della
Val di Pesa, per andare a salutare i miei antenati nei cimiteri della
Val Badia, più tempo per togliersi e mettersi il maglione e stare
a chiacchierare.”
Nelle tante successive raccolte dei suoi scritti è stata per così
dire censurata la chiusura nell’originale che sembra in un certo
senso anticipare la molto dolorosa rottura della coppia. “Più
tempo per mettersi il maglione e stare a chiacchierare con la Nanda che,
adesso come adesso, non riesco quasi mai a vedere, maledizione, soltanto
la sera per dirle che un altro giorno è passato come niente, senza
niente, per dirle che siamo sempre più stanchi, che gli anni sono
passati come niente dai dolci autunni della giovinezza, che adesso la
lascerò ancora, che mi girerò dall’altra parte e la
lascerò ancora per dormire un’altra notte e domani avrò
solo il tempo di toccarle il piede quando uscirà dalla camera,
che posso dirle d’altro? Che abbiamo una casa soltanto per farci
passare dentro gli anni, come strati di carta assorbente, senza stare
insieme. Almeno vorrei dirle che la bellezza forse la troveranno quelli
che verranno dopo di noi. Ma posso dirglielo?”.
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