Gennaio 2021
   IN EXTREMIS    
 
Novembre 2023
Dopo quasi un anno e mezzo sono di nuovo davanti a una psicologa. Brasiliana di San Paolo, consigliata da una neuropsichiatra belga specialista nell’autismo in età adulta che vive a due passi da casa, ma viene da Lovanio. Franco Basaglia, considerato “il più importante intellettuale della storia dell’Italia repubblicana”, dato che passare dalla teoria alla pratica è un salto senza pari, ha calamitato qui tra Trieste e Gorizia, da tante parti del mondo, chi voleva vedere il miracolo da vicino. Deve essere una giornata particolare se la psicologa tiene a farmi sapere che oggi ho trasmesso più emozioni di quanto fatto in precedenza, in una dozzina di incontri. Molto particolare, se viene a galla tutta la sofferenza rimasta impigliata ai miei piedi a intralciare il cammino, negli ultimi mesi soprattutto. E viene fuori anche qualche lacrima, quando ricordo una frase della donna al mio fianco, dopo che per lunghi minuti non ho parlato che di visite, farmaci, clip mitraliche, anemia, flebo e prelievi. “Basta. Facciamo già una vita infernale e dopo per me lo sarà anche di più!”. Manca giusto un mese al 7 Dicembre e a Sant’Ambrogio, chiedo quindi di fissare un’altra data per il prossimo incontro. Provo da sempre una serenità e una tranquillità impreviste la sera della vigilia di Sant’Ambrogio, un appuntamento che dice più del Natale, vale quanto la stessa Pasqua. A fianco della basilica, c’è l’Oratorio di San Sigismondo nel quale un tempo si ritrovava la domenica una comunità ortodossa, credo bulgara. E non sarà un caso che di quelle visite ricordi il vassoio di coliva, spesso a lato dell’altare, il gusto insolito del dolce dei morti. Non aiuta sapere che il grano bollito e benedetto e il melograno, primi ingredienti della coliva, siano simboli del ciclo vitale e un tempo si usasse posare una fetta di torta accanto alla tomba. Se penso al 7 dicembre, il 12 è a un passo. Il fratello più piccolo prova con il coro del Duomo, nell’abside a meno di duecento metri da Piazza Fontana, dalla banca e dal cratere scavato dalla bomba. E se da un lato sentivo che quei morti erano sangue del mio sangue, innocenti frequentatori della Banca dell’Agricoltura, impacciati nel loro cappotto della festa; dall’altro simpatizzavo con il piccolo gruppo nichilista, quattro o cinque in tutto, che esultava nei primissimi giorni dopo il fatto nei bagni della scuola inneggiando alle bombe, al sangue, ecc. Vorrei riposare, sfinito dal susseguirsi senza tregua dei talk show, le guerre in corso come pretesto. In pace, dopo un ultimo sberleffo all’ipocrisia. E alla mente non una parola viene, ma Uncle Ted nella sua capanna. Lo confesso ora e potrei anche sostenerlo in pubblico, perché il peggio che potrebbe capitare è che mi rinchiudano a vita ai domiciliari e non sarebbe poi un gran dramma. Dalla prima lettera di dimissioni, nelle ultime righe, i cardiologi suggeriscono “vita di riposo a domicilio”.
 

 

   
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