Dopo quasi un anno e mezzo sono di nuovo davanti
a una psicologa. Brasiliana di San Paolo, consigliata da una neuropsichiatra
belga specialista nell’autismo in età adulta che vive a due
passi da casa, ma viene da Lovanio. Franco Basaglia, considerato “il
più importante intellettuale della storia dell’Italia repubblicana”,
dato che passare dalla teoria alla pratica è un salto senza pari,
ha calamitato qui tra Trieste e Gorizia, da tante parti del mondo, chi
voleva vedere il miracolo da vicino. Deve essere una giornata particolare
se la psicologa tiene a farmi sapere che oggi ho trasmesso più
emozioni di quanto fatto in precedenza, in una dozzina di incontri. Molto
particolare, se viene a galla tutta la sofferenza rimasta impigliata ai
miei piedi a intralciare il cammino, negli ultimi mesi soprattutto. E
viene fuori anche qualche lacrima, quando ricordo una frase della donna
al mio fianco, dopo che per lunghi minuti non ho parlato che di visite,
farmaci, clip mitraliche, anemia, flebo e prelievi. “Basta. Facciamo
già una vita infernale e dopo per me lo sarà anche di più!”.
Manca giusto un mese al 7 Dicembre e a Sant’Ambrogio, chiedo quindi
di fissare un’altra data per il prossimo incontro. Provo da sempre
una serenità e una tranquillità impreviste la sera della
vigilia di Sant’Ambrogio, un appuntamento che dice più del
Natale, vale quanto la stessa Pasqua. A fianco della basilica, c’è
l’Oratorio di San Sigismondo nel quale un tempo si ritrovava la
domenica una comunità ortodossa, credo bulgara. E non sarà
un caso che di quelle visite ricordi il vassoio di coliva, spesso a lato
dell’altare, il gusto insolito del dolce dei morti. Non aiuta sapere
che il grano bollito e benedetto e il melograno, primi ingredienti della
coliva, siano simboli del ciclo vitale e un tempo si usasse posare una
fetta di torta accanto alla tomba. Se penso al 7 dicembre, il 12 è
a un passo. Il fratello più piccolo prova con il coro del Duomo,
nell’abside a meno di duecento metri da Piazza Fontana, dalla banca
e dal cratere scavato dalla bomba. E se da un lato sentivo che quei morti
erano sangue del mio sangue, innocenti frequentatori della Banca dell’Agricoltura,
impacciati nel loro cappotto della festa; dall’altro simpatizzavo
con il piccolo gruppo nichilista, quattro o cinque in tutto, che esultava
nei primissimi giorni dopo il fatto nei bagni della scuola inneggiando
alle bombe, al sangue, ecc. Vorrei riposare, sfinito dal susseguirsi senza
tregua dei talk show, le guerre in corso come pretesto. In pace, dopo
un ultimo sberleffo all’ipocrisia. E alla mente non una parola viene,
ma Uncle Ted nella sua capanna. Lo confesso ora e potrei anche sostenerlo
in pubblico, perché il peggio che potrebbe capitare è che
mi rinchiudano a vita ai domiciliari e non sarebbe poi un gran dramma.
Dalla prima lettera di dimissioni, nelle ultime righe, i cardiologi suggeriscono
“vita di riposo a domicilio”. |