È perfetta la luce del tramonto che bagna il viale, manca solo
a fare da sfondo un gasometro di Sironi, ridipinto su grandi cartoni
come nei primi film di Hitchcock. Siamo usciti storditi dal pugno nello
stomaco non previsto, dal road movie che anticipa tutti gli altri, un
viaggio che si interrompe con i protagonisti abbattuti senza pietà.
Una pietra miliare della colonizzazione del subconscio per dirla alla
Wenders o come qualcun altro della cocacolonizzazione. Le idee sono
confuse e il cielo pesa come un coperchio quando si è visto Easy
Rider e da qualche parte si è già formata l’onda
del riflusso che inghiottirà tutto. Per un lungo periodo abbiamo
pensato fosse questo road movie con la sua colonna sonora la testimonianza
più fedele degli anni più amati. Per fortuna, l’epoca
non si esaurisce nell’amaro retrogusto di Easy Rider o nell’inquieta
disperazione di Cinque pezzi facili, nei fallimenti incrociati di Conoscenza
carnale, nell’incubo senza fine di Un tranquillo weekend di paura,
nella brutale presa di coscienza di Fragole e Sangue o nel gioco al
massacro di Non si uccidono così anche i cavalli?.
Vede migliaia e migliaia di sognatori nei parchi della baia di San Francisco
e il morbido tappeto sul quale volare ha la trama delle note dolci e
acide dei Grateful Dead o dei Jefferson Airplane.“Dovremmo stare
insieme/Venite tutti voi qua intorno/La nostra vita è troppo
bella per lasciarla morire/Dovremmo stare insieme”. Il sogno attraversa
gli oceani, diventa realtà nel primissimo festival di Re Nudo
- replica dopo replica, avviato al triste epilogo delle giornate del
Parco Lambro - dove di mille e più persone metà le conoscevi
bene e le altre sembrava di conoscerle da sempre. Tornando in macchina
in città, con un professore universitario alla guida e a fianco
un ragazzino che il Politecnico l’aveva occupato da senza tetto
con la famiglia e davanti a me una faccia per nulla nuova che non a
caso avrei poi rivisto ai tavoli del Lale Restaurant a Istanbul, avevo
vissuto la molto rara sensazione di essere parte di una comunità
e di quanto tutto questo si avvicinasse al sogno di quella cosa indicibile
che comincia con le stesse prime sei lettere. Nessun lieto fine è
più lieto di quello di Zabriskie Point, quando Daria manda in
briciole con la fantasia gli oggetti e la villa che li contiene, decine
di volte, al rallentatore. Non sarà che alla fine ci si rende
conto che l’estremismo è una malattia senile, piuttosto
che infantile? Che sia lui, come scrive Amis, il nemico pubblico numero
uno: “Cosa ha mai fatto l’estremismo per chicchesia? Dove
sono i suoi doni all’umanità? Dove le sue opere?”.
Ma ci hanno regalato il migliore dei mondi possibili il senso della
misura, la moderazione, il liberismo, il mercato? “Inoltre, ho
ben il diritto di uscire dal teatro quando la commedia mi diventa odiosa
ed anche di sbattere la porta uscendo, prendendomi il rischio di turbare
la tranquillità di coloro che ne sono soddisfatti”. Prigione
Grande Roquette. Parigi. Maggio 1894. Émile Henry, ventiquattro
anni, in attesa di salire alla ghigliottina.
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