Gennaio 2021
   IN EXTREMIS    
 
Marzo 1848
Doveva esserci tanto fumo e l’odore della polvere da sparo nell’aria, lungo i viali e nei giardini, nei primi giorni di primavera. Doveva portare qualcosa di buono in quella borsa in pelle scolorita. O solo acqua e vino e pane. Doveva essere tra un barricata e l’altra, mentre tuonava il cannone, che si prese la sua pallottola al cuore, in fronte o non so dove e il sangue usciva a rivoli. Avrei dovuto cercare con più pazienza il suo nome in quello sterminato elenco nella penombra, sotto il monumento in piazza.
Ma sappiamo che c’era, la mia bisavola, trisnonna, antenata, umile vivandiera a recitare la sua parte sulla scena delle Cinque Giornate. Erano in tanti al matrimonio dei nonni materni in San Pietro in Sala, proprio dove lentamente scorreva vent’anni prima il corteo funebre di Giuseppe Verdi e i ragazzi in cima agli alberi a guardare giù come i gatti, orgogliosi della loro prodezza. Avevano dunque ancora casa e terra lì vicino i Prada, a quattro passi da via Washington, dove avrei vissuto a lungo, quasi un secolo dopo. “Mai come allora ho sentito la gioia tranquilla di essere, come sono, milanese da quarant’anni”, scriveva Franco Fortini sul Corriere rievocando, vent’anni dopo, i giorni della “resistenza”, all’indomani della bomba di Piazza Fontana. Non ha potuto assistere alla grandiosa trasformazione post Expo, il bruco che si muta in farfalla, diventa MilAngeles, perdendo in un batter d’ali ogni continuità non solo architettonica con il suo passato e quasi tutta la sua bellezza, sacrificata sull’altare di un’incessante ostentazione di opulento lifestyle. Ah, poveri ricchi. Non vedo la mia città dal Natale prima della pandemia e penso non ci sarà una prossima volta. Era destino che il ciclo si chiudesse qui, dietro una pesante porta in bronzo sulla quale spicca a rilievo un uroboro, la testa e la coda a disegnare un cerchio senza inizio né fine, in una ultracentenaria tomba di famiglia, dove sul frontale una dopo l’altra si posano le sei lettere che vanno a comporre un cognome innegabilmente austroungarico.



 

 

   
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