“Beati quelli che sono nel pianto, perché
saranno consolati”. Mi capita sempre più spesso di commuovermi.
Molto spesso ascoltando musica. Non solo Beethoven, Mahler, Milton Nascimento,
Robert Wyatt e Julian Cope. Piango per Monk al pianoforte, Alone in San
Francisco. Per l’armonia, la melodia, la bellezza, la gioia, il
dolore e la solitudine. Ma anche per una di quelle raccolte di Ministry
of Sound, mentre immagino di realizzare il vecchio sogno di essere al
centro della pista e da ogni angolo partono e si mescolano suoni diversi,
tutti a 130 bpm, in una metropoli di almeno dieci milioni di abitanti,
Londra o Tokyo, Shanghai o Istanbul o ancora meglio San Paolo - la house
ti riporta sempre a casa - sotto una pioggia ininterrotta di luci, sotto
l’effetto di svariati fusi orari.Verso qualche lacrima sulle note
di Sentimental di Chico Buarque nell’interpretazione di Maria De
Medei ros, saudade da saudade. Piango con il poeta per i miei desideri
non realizzati “pianti e sepolti dentro un mausoleo, la testa fra
le rose, coi gelsomini ai piedi”. Per Joyce, mentre immagino “la
neve cadere lieve nell’universo e lieve cadere, come la discesa
della loro ultima fine, su tutti i vivi e i morti”. Piango per i
miei di morti: riposano in un cimitero nel quale non sono mai entrato,
in una tomba che non ho mai visto. Ma che importa, mia mamma l’avevo
già accompagnata in paradiso, visto che ci teneva tanto, spingendo
la sua carrozzina lungo i corridoi senza fine e le finestre alte del Pio
AlbergoTrivulzio. Mi pento e mi dolgo disperatamente per gli altri miei
morti, morti prima di essere nati, prima di sentire il loro pianto. Piango
se penso a quella sala del cinema Mexico dove ho visto in prima fila Heimat
2. Alle mie spalle, tutti i posti erano come occupati dagli amici vicini
e lontani, dagli amori veri e immaginati con cui avevo condiviso gli anni
di sogno, gli anni di polvere, gli anni di piombo. E malgrado la complicità
generale per mantenere il silenzio al riguardo, dico che porta alle lacrime
quell’immagine di Holger Meins, scheletrito cadavere. Dagli atrii
muscosi, dai fori cadenti, d’in su la vetta della torre antica,
dal nevoso aere, dalle dentate scintillanti vette, da colli beati e placidi,
da scaglie di mare, solo et pensoso per lo solingo piano, piango. Oggi
sto meglio, non potrò mai più dire di stare bene. Piangendo
perdo liquidi, prenderò meno diuretici. E ora che l’ho scritto,
non so più se devo ridere o piangere. |