Mi liberano dalla flebo che dovrebbe allungarmi la vita. Con
lei ho trascorso più di quaranta ore, pazientando fino
all'ultima goccia. Ho appena letto che è morto Alain
Delon. "Mai più nessuno come lui. Unico e immortale".
Un infermiere mi sta praticando il lavaggio, igiene del mattino.
Il lavaggio è quello dell'agocannula nella quale scorreva
il liquido della flebo. Sono in preda a una certa euforia. Beneficio
soggettivo? Ignoro la composizione del farmaco, ma comincio
a sospettare che non è solo sul cuore che agisce. Apre
anche le porte della percezione. È morto Delon, dico
al giovane infermiere. Alzo gli occhi e il gay radar si attiva.
Sa che è un attore francese. Forse il più bello
di tutti, suggerisco malizioso. Nessuna reazione. Un trentenne
e qualcosa ha il diritto di ignorare Delon come Belmondo, la
Bardot come la Birkin. Per un ventenne il problema non si pone.
Non avrà mai le energie per risalire il denso fiume del
tempo. Ma voglio ancora illudermi che sul finire del secolo,
in qualche università americana, si seguirà con
passione un corso sulla Nouvelle Vague. I settant'anni non mi
minacciano, mi sorridono, mentre leggo il bilancio di una vita,
condensata in poche righe. "Quelli che dicono “era
meglio prima” li trovo rincoglioniti. Per me è
diverso perché è vero: ai miei tempi, era davvero
meglio. È il vecchio rincoglionito che parla! Ma non
me ne frega più un cazzo, ho avuto tutto. Ho avuto una
fortuna incredibile: sono stato felice tutta la vita, ho frequentato
uomini e donne magnifici. Ho fatto quello che volevo, con chi
volevo, quando volevo. Sono rivolto più verso il passato
che il futuro perché so di avere avuto un passato straordinario.
L’epoca di oggi non ha niente a che vedere con quella
che ho conosciuto io. Una vita così non la si vedrà
più. È per questo che non ho rimpianti se devo
andarmene”.